38 stratagemmi per darsi ragione

Il gustoso saggio di Schopenhauer Die Kunst, Recht zu Behalten, riportato nella versione italiana come L’arte di ottenere ragione è una lettura che ritorna sempre utile e che impressiona sempre per il dettaglio con cui vengono raccontate le strategie di “dialettica eristica”, sempre attuali a livello di dibattito e disputa che quotidinamente è possibile visionare: dai luoghi di lavoro, al viaggio nei mezzi pubblici, alle querelle politiche trasmesse in Tv, e via dicendo.

La retorica, l’arte del “parlar bene” (come dice Roland Barthes), affascina sia per la sua complessità, sia per la sua ricaduta sui vantaggi personali che si possono avere nella comunicazione con i nostri “coinquilini di vita”, nelle relazioni che stabiliamo con essi.  Non appare utile soffermarsi a commentare le 38 strategie del filosofo di Danzica, sebbene realmente utili allo sviluppo di uno stile comunicativo assertivo, se utilizzate correttamente, se non per rivisitarne la lettura, ancora una volta, in un’ottica di autoformazione.

In particolare leggere e intellegere il prontuario della discussione nell’ottica della “disputa con sé stessi”, significa rapportare tali tattiche nei rapporti allo specchio, in quelle fasi di riflessione e auto-motivazione che necessariamente affrontiamo tutti (con tempi e modalità molto differenti).

Per quanto apparentemente sulla scia delle ”istruzioni per rendersi infelici” su cui mi sono soffermato precedentemente, è possibile ricavare numerosi consigli per affrontare sé stessi in una sorta di dibattito interiore fortemente collegato a momenti di decision making, ovvero scelte dicotomiche e necessarie.

Parafrasando Schopenhauer, pertanto, raccogliamo le seguenti indicazioni:

1.    Ampliamento: interpretare le proprie affermazioni nel modo più generale possibile, restringendo quelle in opposizione.

2.    Omonimia: estendere le proprie affermazioni presentate a se stessi a qualcosa che, oltre al nome uguale, non ha nulla in comune con l’argomento in questione.

3.    Generalizzazione: trattare le proprie affermazioni con valore relativo come se avesse un valore assoluto.

4.    Occultamento: presentare le premesse alla propria conclusione una alla volta, in modo che il sé le ammetta senza accorgersene.

5.    False proposizioni: usare tesi false ma vere ad hominem, sfruttando i preconcetti e i propri pregiudizi.

6.    Dissimulazione di petitio principii: postulare ciò che si dovrebbe dimostrare.

7.    Metodo socratico o erotematico: porre domande adeguate a se stessi e ricavare la verità dell’affermazione dalle proprie stesse ammissioni.

8.    Provocazione: autosuscitare la propria ira per confondersi.

9.    Confusione: porsi domande in un ordine diverso da quello nel quale ci si sarebbe aspettato in un primo momento.

10. Ritorsione delle proprie negazioni: se intenzionalmente ci si risponde in modo negativo a tutte le domande, chiedersi il contrario della tesi di cui ci si vuole servire.

11. Generalizzazione dell’inferenza: se si accetta la verità di fatti particolari dare per scontato che si abbia accettato anche l’universale relativo.

12. Metaforizzare: scegliere sempre metafore e similitudini favorevoli alla propria affermazione, introducendo nella definizione ciò che si vuole provare in seguito.

13. Presentare l’ opposto della propria tesi: presentare l’opposto delle proprie tesi in modo denigratorio, per far sì che si sia costretti a rifiutarlo.

14. Dichiararsi la vittoria: dopo che  si ha risposto a molte domande senza peraltro giungere alla conclusione desiderata, dichiararsi vittoria con una buona dose di faccia tosta.

15. Usare tesi apparentemente assurde: se la propria tesi è paradossale e non la si riesce a dimostrare, proporsi una tesi giusta ma non evidente; se si rifiuta pensare ad absurdum e trionfare.

16. Argomenti Ad Hominem: cercare contraddizioni nelle proprie affermazioni.

17. Usare sottili distinzioni: se si incalza con un controprova, occorre trovare una sottile distinzione se la cosa consente un doppio significato.

18. Mutatio controversiae: se c’è il rischio che si possa avere ragione, spostare l’argomento di riflessione su altre questioni.

19. Generalizzazione: se ci si sente sollecitati ad esprimere un’opinione su un particolare, estrapolare l’universale ed opporsi a questo.

20. Trarre conclusioni: se si ha concesso parte delle premesse, trarre la conclusione anche se le premesse sono incomplete.

21. Controargomentazione: se si fa uso di un argomento solo apparente o sofistico, liquidarlo usando un controargomento altrettanto sofistico o apparente.

22. Petitio principii: rigettare le proprie premesse come petitio principii.

23. Esagerazione: spingersi ad esagerare con le proprie affermazioni e quindi confutarle.

24. Forzare la consequenzialità: trarre a forza dalle  proprie affermazioni, con false deduzioni, tesi che non vi siano contenute (apagoge).

25. Istanza o Exemplum in contrarium: l’apagoge si demolisce presentando un unico caso per cui il principio non è valido.

26. Retorsio argumenti: l’argomento che si vuole usare a proprio vantaggio viene usato meglio contro se stessi.

27. Sfruttare l’ira dell’avversario: se di fronte a un certo argomento ci si adira, insistere su quell’argomento, poiché è facilmente il punto debole del proprio ragionamento.

28. Argumentum ad auditores: funziona meglio quando da persona colta si disputa con il sè incolto. Avanzarsi un’obiezione non valida ma “spettacolare”, che richieda, per essere smentita, una lunga e noiosa disquisizione.

29. Diversione: qualora si fosse sul punto di vincersi cambiare completamente argomento e proseguire come se fosse pertinente alla questione e costituisse un argomento contro se stessi.

30. Argumentum ad verecundiam: invece che di motivazioni ci si appelli ad autorità rispettate da sé stessi.

31. Dichiarazione di incompetenza: dichiararsi incompetenti per insinuarsi il dubbio che le proprie affermazioni siano una cosa insensata.

32. Denigrazione: per accantonare, o almeno rendere sospetta, una propria affermazione ricondurla ad una categoria odiata.

33. “Vero in teoria, falso in pratica”: ammettere con questo sofisma le ragioni e tuttavia negarne le conseguenze.

34. Incalzarsi: se ci si dimostra evasivi riguardo ad un argomento, incalzarsi su quell’argomento, poiché facilmente sarà uno dei propri punti deboli.

35. Argumentum ab utili: anziché agire sull’intelletto con il ragionamento, agire sulla volontà con motivazioni, dimostrandosi che la propria opinione, se vera, non può che recarci che qualche danno.

36. Sproloquiare: rimanere sconcertati e sbigottiti da sproloqui interiori privi di senso.

37. Spacciare un argumentum ad hominem per uno ad rem: se si sceglie una cattiva prova a sostegno del propria argomento confutare la prova e passare questa confutazione come una confutazione all’intero argomento.

38. Argumentum ad personam: come ultima risorsa diventare offensivi, oltraggiosi e grossolani con se stessi.

Alcune affermazioni sembreranno paradossali quanto la celeberrima non-pipa di Magritte (Ceci n’est pas une pipe 1928-29 olio su tela (60×81 cm) Los Angeles County Museum of Art), che eccezionalmente nell’opera utilizza il testo per giocare surrealmente con il linguaggio, tra significati e significanti…

Se questa non è una pipa, e non è possibile carpire il vero significato che l’autore ha attribuito al segno, fondamentalmente non può che accadere per un problema di allineamento sulla comunicazione.

Con noi stessi dovremmo riuscire ad evitare il paradosso della relatività ontologica [Quine la rappresenta attraverso l’esempio del coniglio – che fa pronunciare da un indigeno con l’immaginario fonema gavagai – e che può tradursi come “coniglio”, “parte non staccata di coniglio”e con “stadio di coniglio”]. Soffermarci su una scelta di significato, indicando il coniglio e sperando di farci capire come lo stiamo intendendo non è altro che una scelta, una strategia per definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, recintando significati, costruendo artificiosamente una morale.

Il paradosso della disputa con sé stessi può essere superato travalicando uno stadio di consapevolezza, di corporeità tangibile, per avventurarsi in uno spazio di narcosi dalla coscienza e dalle emozioni di sorta, permettendo in alcuni casi un forte effetto motivante o depressivo nei propri confronti. Non si deve pertanto avere paura del confronto con degli stati di “sospensione” dal giudizio piuttosto che dalla relazione con gli altri. In questo modo l’immagine di sé stessi è affrontabile, è discutibile, è dialogabile e il distacco dall’emozione come l’esercizio personale di dubitazione permetteranno un’attenta auto-analisi e un’auto-valutazione più profonda.

Il primo confronto è con sé stessi prima che con gli altri. In inglese to be right, rappresenta “avere ragione”, ma anche “essere nel giusto”. Prima di affrontare la disputa con l’altro è necessario verificare se si è nel giusto (proprio): no entity without identity (W V.O. Quine)

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